L’AIRONE CINERINO

C’è un airone cinerino che all’ora del tramonto è solito parcheggiare in quel bel prato verde irlandese di quella villa proprio di fronte alla Castrina: mi piacerebbe riuscire a fargli una bella foto.

La Castrina è un termine a me molto familiare, e caro, nonostante io non sia nativo di Palazzolo: credo sia lo stesso corso d’acqua che oltrepassa le campagne clarensi per arrivare a costeggiare poi i miei antichi territori rovatesi; era la sariola nella quale da bambini ci si andava a fare il bagno d’estate fra girini e moscerini, oppure a prendere le bose quando c’era secca, armati di barattolo e una forchetta lesta ad infilzare. 
Nella Castrina ho imparato a nuotare, a tenere il fiato sott’acqua, a prendere piccoli pesci, a raccogliere i chiodini sulla riva piena di robinie e a gustare, sdraiandomi nel fieno odoroso del prato accanto, il passaggio maestoso delle poiane lassù, nel celeste terso blu.

Ah già! L’airone cinerino!

Posteggio la bici appena svoltato il vecchio macello, attraverso lo stretto ponticello, la vista del fiume è rasserenante, dall’altra parte sull’altra riva, giusto dietro il Curnù, mi pare già di vederlo zompettare, ma non ne sono sicuro, non ho occhiali da vista stasera con me.

Delle persone sono sedute su una delle panchine sparse qua e là fra anatre diffidenti e i platani possenti a riparare: sembrano canticchiare qualche cosa che non conosco, una specie di nenia orientaleggiante.

Incuriosito saluto: sono quattro: un ragazzino con la maglia di Balotelli, un giovane che mentre canticchia chatta su fb, un signore più o meno della mia età e uno più vecchio con bella camicia bianca sotto giacca grigia con sul bavero un bottone nero da lutto.

‘Bella la canzone! Bravi! È una ninna nanna?’
‘Sì – dice il vecchio – sì … più o meno, questa la cantava molto bene Vaçe Zela, la regina che ha commosso tutto il mio popolo albanese con la sua bellissima voce. Vaçe Zela è morta la settimana scorsa’. 
‘Mi spiace’, dico.
‘Siamo albanesi. Ma siamo anche italiani eh!…’, dice poi il vecchio ad ammiccare e cambiando di netto l’atmosfera.

‘Oramai, siamo più italiani che albanesi’, aggiungono tutti più o meno in coro.
‘Io sono nato qui e in Albania non ci sono mai andato’ dice Balotelli. 
‘Ma si che ci sei andato, eri troppo piccolo, non ti puoi ricordare’, lo rimbrotta il vecchio.

‘Tu cosa fai’, mi chiede sorridente il signore.
‘Ah sono venuto a fare un giro, vedi là, ci dovrebbe essere un airone…
Oh! Eccolo!’

Ora lo si vede bene, sospendo per un attimo il tempo e i dialoghi, attenzione! … sembra volersi nascondere dietro quei cespugli più avanti.
Il vecchio riattacca il canto sussurrato mente tutti osservano rapiti le eleganti movenze del trampoliere.
Prendo la macchina fotografica, lo inquadro, zummo un po’ ma l’airone cinerino non sta fermo, è bellissimo, m’incanto, apre le ali, prende il volo, lo punto, lo miro, cerco lo scatto giusto, ma in un niente è troppo lontano… troppo tardi.

‘Beh! Sarà per una prossima volta’ dico. 
Il vecchio mi offre della birra, mi fa segno di sedermi. Chiacchieriamo ancora un poco, poi prima dei saluti il giovane mi scrive sul mio cellulare alcune parole in albanese che dicono della loro terra, parlano del mare, di nostalgia e di nuovi amici coi quali condividere e contemplare.

Valët e detit shkumojnë plot dallgë
bashkë me shokët në breg kemi dale
sa kemi mall, s’ka deti valë
oh moj e Bukur Arbëri
shikojmë nga larg mendojmë për ty
oh moj e Bukur Shqipëri.