
A Giò piace scendere in bicicletta al Lungoglio.
Giò si chiama Matteo ma è convinto che Giò faccia molto più figo di Teo. Giò è conosciuto da tutti.
È amato da molti ma è capito da pochi.
Giò è ricco.
Ha quel cromosoma in più che fa la differenza tra il desiderare una vita da farsi invidiare, e godersi una vita che pochi avrebbero desiderato.
Giò corre tra le auto parcheggiate con rumorose derapate.
Colleziona urla di gioia, semina sorrisi e raccoglie risate, non si cura del peso di alcuni sguardi.
Quando arriva al Lungoglio tutto è suo, ne fa l’inventario ogni volta: sei panchine.
Due cestini.
Tre staccionate.
Un po’ di sabbia.
Sassi grossi da far affondare.
Sassi piatti da far saltare: non ci è mai riuscito ma poco conta, fa ridere uguale.
E legni e rami per costruire.
Piccoli pesci da intuire.
Pescatori con cui parlare.
E nonno, quando e’ triste, da rallegrare.
E poi coppie di amanti da spiare, furtivi abbracci, lunghi baci, mani fuse e sguardi audaci.
E ancora ragazzini a fumare. Annoiati a passeggiare.
Fidanzati a parlottare e gente lì… che non sapeva dove andare.
E poi guarda l’Oglio. Quello non è suo. Scorre veloce e non può fermarlo.
Sa che parte molto a nord e arriva tanto a sud.
Certi giorni è limpido, da crederci davvero che nonno da piccolo ci beveva.
Altri giorni è torbido, come se il lago arrabbiato risalisse la corrente a portare il suo malumore.
A volte Giò si tufferebbe ma non può. Non sa nuotare.
Meglio tornare a pedalare.
(Riccardo Mensi)